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Immunodeficienze primitive: l’approccio multidisciplinare per una diagnosi tempestiva

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 8 Maggio 2024


HPS-AboutPharma - IN COLLABORAZIONE CON BECTON DICKINSON

Promuovere l’interazione tra i diversi livelli di assistenza, favorire la collaborazione tra gli attori del sistema sanitario e garantire l’accesso agli strumenti più innovativi per giungere a una diagnosi precoce.

Sono queste le componenti essenziali per assicurare una rapida presa in carico del paziente, specie quando è affetto da una malattia rara.

Sul percorso diagnostico e di cura delle persone con immunodeficienze primitive si è svolto oggi a Roma un evento, realizzato con il supporto non condizionato di Becton Dickinson.

Alterazioni del sistema immunitario

Le immunodeficienze primitive sono patologie di origine genetica innate e rare che presentano alterazioni nel funzionamento del sistema immunitario causando infezioni e malattie quali disordini ematologici, danni d’organo irreversibili fino all’insorgenza di tumori.

Tra i principali sintomi ci sono i frequenti eventi infettivi, soprattutto a livello polmonare, forme allergiche complesse, anomalie dermatologiche e problemi neurologici.

Sottostima dei casi

Si stima che in Italia la prevalenza sia di 5,1 casi ogni 100mila abitanti per le circa 300 forme di immunodeficienze. Il dato, però, è fortemente sottostimato a causa dei ritardi diagnostici che arrivano fino a 4 e 5 anni per il 70-90 per cento dei pazienti.

Il dato ha pesanti ripercussioni non solo sui pazienti ma anche sui loro caregivers e sul Servizio sanitario nazionale.

Modello di gestione

Gli esperti coinvolti durante l’evento hanno delineato quattro fasi del percorso: la prima è l’identificazione dei segnali di allarme, da parte del pediatra o del medico di medicina generale, e la prescrizione dei test di laboratorio; la seconda fase consiste nell’invio presso i centri territoriali regionali, gli ambulatori pediatrici o gli hub periferici per effettuare i test di tipizzazione immunologica con citometria a flusso per avere un indirizzo diagnostico; la terza è la presa in carico nei centri di riferimento specializzati (Ipinet, Aieop), dove effettuare la tipizzazione immunologica di approfondimento con successivo avvio tempestivo della terapia adeguata e individuale, ed infine, l’ultima stabilisce l’attivazione di un programma di continuità terapeutica.

Il gruppo di esperti ha sottolineato inoltre l’importanza di portare all’attenzione del Centro nazionale malattie rare il modello di gestione del paziente e di creare maggiore consapevolezza sui nuovi mezzi diagnostici oggi disponibili, fra i quali, la citometria a flusso, una innovativa tecnologia che compie una rapida valutazione dei diversi componenti del sistema immunitario.

L’impatto della mancata diagnosi

“Secondo uno studio della Jeffrey Model Foundation – afferma Paolo Sciattella, docente del Ceis-Ehta della facoltà di Economia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata – i pazienti con una diagnosi acclarata pesano sul sistema salute circa 4 o 5 volte in meno rispetto ai pazienti senza diagnosi. I costi totali per la cura delle immunodeficienze primitive si aggirano intorno ai 13-15 milioni di euro l’anno. A questi, vanno aggiunti i costi relativi alle complicanze che richiedono assistenza ospedaliera”.

Il Ceis-Ehta dell’Università di Tor Vergata di recente ha realizzato uno studio in cui è stato evidenziato come, ogni anno, più di 2mila pazienti con immunodeficienze primitive vengono ricoverati, generando una spesa media di circa 3mila euro a persona per un totale di 6 milioni di euro.

“È importante sottolineare – prosegue Sciattella – che la necessità di ricovero ospedaliero non impatta solo sulla spesa sanitaria, ma genera costi indiretti legati alla perdita di produttività del paziente e del caregiver. I risultati dello studio evidenziano l’importanza di una diagnosi e di una presa in carico precoce che, oltre a migliorare la sopravvivenza e la prognosi dei pazienti, permettono di ottimizzare l’utilizzo delle risorse sanitarie, generando un risparmio per il Servizio sanitario nazionale e per il sistema sociale nel suo complesso”.

Conseguenze sul paziente

La mancata o tardiva diagnosi, inoltre, comporta importanti ripercussioni sulla qualità di vita del paziente, in termini di alti tassi di invalidità, frequenti astensioni dal lavoro, ripetuti ricoveri e visite mediche.

“Le immunodeficienze primitive sono malattie del bambino e dell’adulto, dovute ad un difetto del sistema immunitario spesso su base genetica”, commenta Raffaele Badolato, ordinario di Pediatria e direttore della Clinica pediatrica dell’Università degli Studi di Brescia, Spedali Civili di Brescia.

“Queste condizioni – prosegue – sono caratterizzate da infezioni gravi che portano a danneggiare l’organismo e che in alcuni casi possono essere anche fatali.  Oltre che infezioni le PID possono anche insorgere come malattie autoimmuni o come gravi manifestazioni allergiche. Per diagnosticarle si devono effettuare indagini diagnostiche di tipo immunologico e talora genetico. Le indagini di primo livello – continua Badolato – che valutano i livelli plasmatici di anticorpi ed i diversi tipi di globuli bianchi presenti nel sangue, possono essere prescritti da pediatri e medici di medicina generale, mentre per le indagini di analisi immunologica più approfondita, quale la citometria a flusso e per le indagini generiche, occorre ricorrere ai centri di terzo livello come quelli della rete Aieop – Ipinet ai fini di una corretta interpretazione”.

Collaborazioni strategiche

Un ruolo strategico lo gioca la collaborazione fra le associazioni pazienti e le istituzioni per favorire lo sviluppo di un Piano nazionale di riferimento, in grado di rispondere ai reali bisogni dei pazienti e dei caregiver, a cominciare dalla diagnosi precoce.

“Vivere con una immunodeficienza primitiva è vivere in attesa”, commenta Filippo Cristoferi, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Associazione Immunodeficienze primitive (Aip Odv). “In attesa di una diagnosi personalizzata – continua –, di una terapia adeguata e tempestiva, di un percorso di presa in carico ‘integrale’. Ad attendere con te, c’è la famiglia e i caregiver, che offrono protezione e assistenza, si ha bisogno degli altri, si dipende, si cerca una compagnia. Si vive un percorso insieme. Difficile e avventuroso”.

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